Se n’è stata ferma, per anni. In silenzio. Senza rispondere alle
numerose sollecitazioni che l’Amministrazione comunale di Castellammare di
Stabia, attraverso il sindaco Luigi Bobbio e i dirigenti del settore
Urbanistica e Avvocatura, le inviava per esprimere i pareri, scontatamente
contrari, necessari a completare l’iter di rigetto delle domande di condono
edilizio per la «zona rossa» di Varano, quella – cioè – sottoposta a vincolo di
inedificabilità assoluta. Con un unico risultato: ritardare di mesi e mesi
l’avvio delle operazioni di abbattimento di manufatti abusivi, che mai
avrebbero potuto essere sanati, e lasciando l’area archeologica al confine con
i Comuni di Gragnano e Sant’Antonio Abate, ricca di straordinari reperti, in
uno stato di degrado e abbandono.
Alla
fine, perdurando questo mutismo, il primo cittadino di Castellammare di Stabia
ha deciso di mettere insieme un corposo dossier esponendo alla Procura della
Repubblica di Torre Annunziata i fatti anche laddove dovessero configurare «comportamento
penalmente rilevante» da parte della Soprintendenza archeologica di Pompei.
Nell’esposto,
ci si sofferma sulla vicenda inquadrandone, in particolare, gli antefatti e gli
antecedenti maturati negli anni immediatamente precedenti all’insediamento del
sindaco Bobbio.
Si
tratta, in particolare, di alcuni incontri, risalenti al novembre 2008,
testimoniati da note ufficialmente protocollate, da cui emerge che l’Amministrazione
comunale di allora inspiegabilmente chiese e ottenne dalla Soprintendenza la
sospensione per dodici mesi dell’analisi delle pratiche rimesse dall’Ufficio Condono
di Palazzo Farnese. Si badi bene che, nel caso di aree archeologiche sottoposte
a vincoli di inedificabilità assoluta, come nel caso della zona rossa di
Varano, la Soprintendenza è chiamata a fornire un parere pressoché scontato, nel
senso della contrarietà, alle domande già esaminate dai competenti uffici
comunali. Non è prevista alcuna discrezionalità né sui tempi né sui risultati
delle istruttorie, perché la normativa al riguardo è specifica e non ammette
deroghe. Invece, a seguito di quell’incontro, cui, come risulta dagli atti, a
dire dei dirigenti firmatari, avrebbero partecipato - tra gli altri - il
sindaco e il soprintendente di allora, Vozza e Guzzo, per circa un anno, la
Soprintendenza effettivamente rimase ferma, nel senso che non venne espresso
alcun parere. Ma non è tutto. Nel novembre 2009, infatti, nel corso di un nuovo
incontro, Soprintendenza e Comune raggiunsero un altro accordo che non è
motivato né giustificato né legittimato da alcuna normativa nazionale in
materia. Decisero, cioè, di lasciare inspiegabilmente aperta una porta per gli
abusivisti della zona rossa, valutando le domande di condono caso per caso. I
due Enti si attribuirono, in pratica, una facoltà non consentita dalla legge,
visto che il vincolo di tutela archeologica è assoluto e generale. Fatto sta
che, paradossalmente, nemmeno in questo caso, Comune e Soprintendenza riuscirono
ad affrontare seriamente la questione relativa all’abusivismo nella zona rossa
di Varano. Non un documento, non un’istruttoria, non un atto venne firmato allora.
Tutto rimase uguale. Cioè, fermo.
Questo
stato di cose è andato avanti fino all’insediamento dell’Amministrazione Bobbio;
il nuovo sindaco si è impegnato a risolvere alla radice il problema contestando
la legittimità e la validità non solo i termini degli «accordi» raggiunti dal
suo predecessore, ma soprattutto l’intera gestione delle pratiche di condono da
parte della Soprintendenza archeologica di Pompei. Il sindaco per prima cosa ha
incaricato infatti l’Avvocatura comunale di redigere un parere per superare l’impasse del perdurante silenzio della
Soprintendenza, parere che trova conforto in una circolare del ministero dei
Lavori pubblici del 1995 a proposito del principio di silenzio-rigetto, e
proprio grazie a questa valutazione l’Amministrazione comunale oggi ha
riavviato la macchina amministrativa per l’esame delle pratiche per i condoni
nella zona rossa e soprattutto per l’avvio degli iter amministrativi che,
rigettate le istanze di condono, porteranno agli abbattimenti dei manufatti. Il
risultato di questi anni di inspiegabile silenzio sono stati un duplice danno:
agli utenti che attendevano da decenni (le pratiche di condono sono riferite
alle leggi del 1985, del 1994 e del 2003) la definizione delle istanze, e al
territorio che si è così ritrovato senza alcun tipo di tutela.
Nessun commento:
Posta un commento