giovedì 2 agosto 2012

Abusivismo a Varano, Bobbio denuncia la Soprintendenza per pratiche condono lumaca

Se n’è stata ferma, per anni. In silenzio. Senza rispondere alle numerose sollecitazioni che l’Amministrazione comunale di Castellammare di Stabia, attraverso il sindaco Luigi Bobbio e i dirigenti del settore Urbanistica e Avvocatura, le inviava per esprimere i pareri, scontatamente contrari, necessari a completare l’iter di rigetto delle domande di condono edilizio per la «zona rossa» di Varano, quella – cioè – sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta. Con un unico risultato: ritardare di mesi e mesi l’avvio delle operazioni di abbattimento di manufatti abusivi, che mai avrebbero potuto essere sanati, e lasciando l’area archeologica al confine con i Comuni di Gragnano e Sant’Antonio Abate, ricca di straordinari reperti, in uno stato di degrado e abbandono.
Alla fine, perdurando questo mutismo, il primo cittadino di Castellammare di Stabia ha deciso di mettere insieme un corposo dossier esponendo alla Procura della Repubblica di Torre Annunziata i fatti anche laddove dovessero configurare «comportamento penalmente rilevante» da parte della Soprintendenza archeologica di Pompei.
Nell’esposto, ci si sofferma sulla vicenda inquadrandone, in particolare, gli antefatti e gli antecedenti maturati negli anni immediatamente precedenti all’insediamento del sindaco Bobbio.
Si tratta, in particolare, di alcuni incontri, risalenti al novembre 2008, testimoniati da note ufficialmente protocollate, da cui emerge che l’Amministrazione comunale di allora inspiegabilmente chiese e ottenne dalla Soprintendenza la sospensione per dodici mesi dell’analisi delle pratiche rimesse dall’Ufficio Condono di Palazzo Farnese. Si badi bene che, nel caso di aree archeologiche sottoposte a vincoli di inedificabilità assoluta, come nel caso della zona rossa di Varano, la Soprintendenza è chiamata a fornire un parere pressoché scontato, nel senso della contrarietà, alle domande già esaminate dai competenti uffici comunali. Non è prevista alcuna discrezionalità né sui tempi né sui risultati delle istruttorie, perché la normativa al riguardo è specifica e non ammette deroghe. Invece, a seguito di quell’incontro, cui, come risulta dagli atti, a dire dei dirigenti firmatari, avrebbero partecipato - tra gli altri - il sindaco e il soprintendente di allora, Vozza e Guzzo, per circa un anno, la Soprintendenza effettivamente rimase ferma, nel senso che non venne espresso alcun parere. Ma non è tutto. Nel novembre 2009, infatti, nel corso di un nuovo incontro, Soprintendenza e Comune raggiunsero un altro accordo che non è motivato né giustificato né legittimato da alcuna normativa nazionale in materia. Decisero, cioè, di lasciare inspiegabilmente aperta una porta per gli abusivisti della zona rossa, valutando le domande di condono caso per caso. I due Enti si attribuirono, in pratica, una facoltà non consentita dalla legge, visto che il vincolo di tutela archeologica è assoluto e generale. Fatto sta che, paradossalmente, nemmeno in questo caso, Comune e Soprintendenza riuscirono ad affrontare seriamente la questione relativa all’abusivismo nella zona rossa di Varano. Non un documento, non un’istruttoria, non un atto venne firmato allora. Tutto rimase uguale. Cioè, fermo.
Questo stato di cose è andato avanti fino all’insediamento dell’Amministrazione Bobbio; il nuovo sindaco si è impegnato a risolvere alla radice il problema contestando la legittimità e la validità non solo i termini degli «accordi» raggiunti dal suo predecessore, ma soprattutto l’intera gestione delle pratiche di condono da parte della Soprintendenza archeologica di Pompei. Il sindaco per prima cosa ha incaricato infatti l’Avvocatura comunale di redigere un parere per superare l’impasse del perdurante silenzio della Soprintendenza, parere che trova conforto in una circolare del ministero dei Lavori pubblici del 1995 a proposito del principio di silenzio-rigetto, e proprio grazie a questa valutazione l’Amministrazione comunale oggi ha riavviato la macchina amministrativa per l’esame delle pratiche per i condoni nella zona rossa e soprattutto per l’avvio degli iter amministrativi che, rigettate le istanze di condono, porteranno agli abbattimenti dei manufatti. Il risultato di questi anni di inspiegabile silenzio sono stati un duplice danno: agli utenti che attendevano da decenni (le pratiche di condono sono riferite alle leggi del 1985, del 1994 e del 2003) la definizione delle istanze, e al territorio che si è così ritrovato senza alcun tipo di tutela.

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